L’amniocentesi è una tecnica invasiva di diagnosi prenatale che consente di effettuare un prelievo di liquido amniotico dalla cavità uterina inserendo un ago sotto guida ecografica attraverso l’addome materno. Tale liquido contiene in sospensione alcune cellule fetali (amniociti) che, poste in un appropriato terreno di coltura, vengono fatte crescere in vitro e poi studiate nel loro assetto cromosomico o nel loro DNA.
L’esame del liquido amniotico, quindi, viene effettuato per esaminare il cariotipo fetale, al fine di evidenziare la presenza di eventuali anomalie cromosomiche, o per la diagnosi di eventuali malattie genetiche ereditarie. Dal punto di vista psicologico, l’esclusione della presenza di anomalie cromosomiche nel corredo genetico fetale libera la donna da stati d’ansia, consentendole di vivere la gravidanza con serenità. Allo stesso tempo, la legge consente l’interruzione della gravidanza alle gestanti che non sopporterebbero il peso psicologico di avere un bambino con una grave anomalia.
Il periodo ideale per eseguire l’amniocentesi è tra la 16° e la 18° settimana, quando la cavità amniotica ha raggiunto dimensioni tali da non costituire un rischio per il feto. Il rischio di aborto connesso all’amniocentesi si aggira intorno allo 0.2%-0.5 %.
SCHEDA TECNICA | |
Epoca di esecuzione: | dalla 15˚ fino alla 20˚ settimana di gravidanza, ideale tra la 16˚ e la 18˚ settimana. |
Metodica: | vengono prelevati circa 25cc. di liquido amniotico introducendo un ago nell’utero attraverso l’addome, sotto controllo ecografico |
Indicazioni: |
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Risposta: |
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Successo del prelievo: | nel 98% dei casi al primo tentativo e 99,8% circa al secondo. |
Svantaggi: |
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Decidere se eseguire la diagnosi prenatale (amniocentesi o villocentesi) durante la gravidanza può essere difficile, ma e’ necessario ricordare che non si deve ricorrere a tali tecniche diagnostiche se non lo si vuole. La diagnosi prenatale dovrebbe essere richiesta solo se le informazioni fornite dall’analisi sono veramente importanti per la coppia, motivazione che rende giustificato il rischio del prelievo.
Un aiuto per decidere cosa sia meglio fare per monitorare lo stato di salute del feto è sicuramente il colloquio con il proprio ginecologo o il genetista, durante il quale si discutono e si chiariscono i seguenti aspetti:
- Studio sulla possibile malattia genetica per cui viene richiesto l’esame.
- Informazioni riguardanti il rischio che il bambino abbia un difetto genetico che si intende ricercare.
- Il tipo di analisi più adatte al proprio caso e il tipo di risultati ottenibili.
- Informazioni sull’affidabilità dell’analisi.
- Percentuali del rischio di aborto dovuto alla procedura.
- Il tempo necessario per ottenere i risultati dell’analisi e relative modalità per accedere al risultato degli esami richiesti.
- Le possibilità di cura o le alternative possibili se il bambino risulti affetto da una malattia genetica.
- Le conseguenze sul piano emotivo per la coppia che esegue l’analisi.
Come si esegue l’amniocentesi?
Il sacco amniotico è la cavità ripiena di liquido (liquido amniotico) nel quale il feto è immerso durante la sua crescita nell’utero. Il liquido amniotico è costituito da vari tipi di secrezioni: essudati ed urina fetale. Spesso in esso vi sono anche cellule di origine fetale: gli amniociti. Esse sono cellule epiteliali di sfaldamento dei tessuti di rivestimento, derivanti dalle ultime vie urinarie e dalla cute.
Il prelievo di liquido amniotico viene effettuato per via transaddominale. L’esame dura circa un minuto ed è praticamente indolore se eseguito da mani esperte.
Prima dell’amniocentesi viene eseguito un controllo ecografico con lo scopo di rilevare la vitalità fetale, l’epoca gestazionale e la localizzazione del feto, di escludere gravidanze plurime, di evidenziare la localizzazione placentare, la profondità della falda amniotica e la quantità del liquido amniotico. Si sceglie accuratamente il punto di inserimento dell’ago, quanto più in alto possibile, preferibilmente lontano dalla placenta ed in prossimità di una tasca di liquido di alcuni centimetri. Sicuramente si evita di scegliere l’inserimento in prossimità della testa del feto, anche se la tasca di liquido sembra ideale. Si marca il punto scelto con la pressione di un cappuccio d’ago, che lascia un piccolo segno sulla cute. Si evita di usare segni colorati perché possono scomparire dopo la disinfezione con soluzione iodata.
L’intervento avviene sempre a paziente supina e senza effettuare alcun tipo di anestesia. Preliminarmente la cute viene disinfettata accuratamente, dall’ombelico al pube, e si delimita il campo d’azione con dei telini sterili. L’operatore con guanti sterili procederà, per via transaddominale a mano libera e sotto guida ecografica, all’introduzione di un sottile ago all’interno della cavità amniotica.
Nella amniocentesi ecoassistita l’ago viene inserito cercando di guidarne il percorso attraverso la contemporanea visualizzazione del suo tragitto mediante una sonda posta vicino all’ago ed opportunamente orientata. Raggiunta la falda di liquido amniotico viene tolto il mandrino ed aspirata ed eliminata una prima piccola quantità (per ridurre il rischio di contaminazione materna); successivamente vengono aspirati circa 15-20 ml di liquido amniotico (che corrisponde a circa 1 ml per ogni settimana gestazionale). Il liquido viene poi raccolto in apposite provette sterili ed inviato a temperatura ambiente al laboratorio di genetica per l’esecuzione delle analisi necessarie.
Nelle gravidanze gemellari, in presenza di due diversi sacchi amniotici, la procedura è sostanzialmente la stessa, ma l’operatore esperto è generalmente in grado di eseguire entrambi i prelievi con un’unica inserzione attraversando le membrane che dividono i gemelli. Ciò naturalmente riduce il rischio di aborto perchè si effettua una sola puntura dell’utero.
Al termine della procedura viene eseguito un controllo ecografico per valutare la vitalità del feto.
Quando eseguire l’amniocentesi?
L’esame viene eseguito ambulatorialmente nel secondo trimestre di gravidanza, preferibilmente fra la 16˚ e la 18˚ settimana di gravidanza, allorchè l’utero, aumentato di volume, rende la cavità amniotica facilmente raggiungibile.
Si ritiene che questo sia il periodo ideale, sia per la presenze di una quantità ottimale di liquido amniotico, che per il riscontro di minori fallimenti colturali dovuti all’elevato numero di cellule fetali presenti nel liquido in quest’epoca. Inoltre, considerando che il tempo necessario per ottenere il cariotipo va dai 9 ai 21 giorni, si riesce ad ottenere un risultato in tempo utile per valutare la possibilità prevista dalla legge 194/78 di sottoporsi ad interruzione volontaria della gravidanza.
Le amniocentesi precoci (10˚-14˚ settimana) presentano maggiori difficoltà di esecuzione, un maggior rischio di aborto, aumentata possibilità di perdita di liquido amniotico e maggiore frequenza di fallimento della coltura cellulare.
Quali sono i rischi dell’amniocentesi?
Le complicanze più frequentemente osservate dopo l’amniocentesi risultano essere l’aborto e la rottura del sacco amniotico.
Il rischio di aborto della tecnica si aggira intorno 0.2%-0.5%. Di tale percentuale si deve tener conto quando si valuta il rischio/beneficio della procedura diagnostica. Il rischio abortivo va infatti comparato con le percentuali di anormalità cromosomiche per l’età.
Il rischio legato alla rottura delle membrane può occorrere entro 2-3 giorni dall’esame. Tale rottura appare legata principalmente ad una intrinseca fragilità delle membrane oppure ad infezioni latenti che si riaccendono con il trauma del prelievo. Tale evenienza accade con una incidenza di circa 1 caso su 300 amniocentesi e conduce all’aborto in un caso su 3.
Il rischio di complicanze materne nella pratica clinica è inesistente ed essenzialmente rappresentato dall’amniotite che ha in’incidenza dell’0,1% e sebbene possa portare alla interruzione della gravidanza, se riconosciuta e trattata prontamente non produce effetti dannosi alla madre.
E’ bene che l’amniocentesi sia eseguita da uno specialista con specifica esperienza. L’incidenza di aborto e complicanze è strettamente legata alla capacità ed all’esperienza dell’operatore (numero di amniocentesi eseguite e numero di casi eseguiti per anno), ed il rischio può essere ridotto od aumentato in modo significativo.
Principali complicanze dell’amniocentesi
- Perdita fetale
- Lesioni fetali
- Parto prematuro
- Complicanze settiche
- Rottura prematura delle membrane
A chi è indicata l’amniocentesi?
L’indicazione principale all’amniocentesi è rappresentata dallo studio dell’assetto cromosomico fetale mediante l’analisi del cariotipo tradizionale, al fine di evidenziare la presenza di eventuali anomalie cromosomiche. Tale esame viene effettuato attraverso la coltura e lo studio delle cellule fetali presenti nel liquido amniotico.
L’associazione a tutti nota tra età materna avanzata e rischio di non disgiunzione cromosomica è ben documentata ed i dati epidemiologici riguardano non solo la trisomia 21 o Sindrome di Down, la più frequente anomalia cromosomica riscontrabile alla nascita, ma anche aneuploidie a carico dei cromosomi 18, 13, X, Y o altri cromosomi.
Tramite le più recenti tecniche di diagnostica molecolare (PCR), possono essere eseguite:
- la valutazione delle aneuploidie cromosomiche più comuni (cromosomi 13, 18, 21, X e Y), mediante una tecnica molecolare avanzata e completamente automatizzata, conosciuta come Quantitative Fluorescent – Polimerase Chain Reaction (QF-PCR), che consente di ottenere i risultati in sole 24/48 ore.
- Il cariotipo molecolare mediante Array-CGH (amniocentesi molecolare), innovativa tecnica molecolare per la determinazione del cariotipo fetale, recentemente introdotta in ambito clinico da GENOMA, che permette di ottenere il risultato di un cariotipo ad alta risoluzione (600 Kb) in soli 2-3 giorni, e che consente inoltre lo screening di 100 malattie cromosomiche, non rilevabili mediante cariotipo tradizionale.
- La diagnosi prenatale molecolare (amniocentesi genetica), che consiste nell’effettuare nel feto, oltre ad un tradizionale studio citogenetico, anche una ricerca, mediante analisi del DNA, delle mutazioni geniche associate alle malattie genetiche più frequenti e più gravi. Le pazienti hanno quindi la possibilità di usufruire, in tempi rapidi, di uno screening genetico multiplo, diretto alla diagnosi di gravi malattie quali fibrosi cistica, sindrome del cromosoma X-Fragile (ritardo mentale), Beta Talassemia, sordità congenita, distrofia muscolare di Duchenne-Becker, distrofia miotonica, e tante altre malattie genetiche.
- La diagnosi prenatale molecolare infettivologica, che consiste nell’effettuare la ricerca della presenza del genoma di agenti infettivi, (es. Citomegalovirus, Herpes simplex, Varicella Zooster, Rubeovirus, HIV, Toxoplasma gondii, Parvovirus), con tecniche molecolari che prevedono il rilevamento del DNA amplificato mediante sonde a sequenza specifica per i diversi agenti patogeni. Si può oggi individuare, mediante la tecnica della polymerase chain reaction (PCR) direttamente il genoma, ossia la forma replicativa, dell’agente infettivo, superando i metodi tradizionali indiretti che esprimevano la produzione anticorpale fetale (IgM). Tali metodi infatti risultavano molto imprecisi poiché dipendevano molto dalla variabile maturità del sistema immunitario a sua volta legato all’età gestazionale.
Principali indicazioni al prelievo di liquido amniotico
- Determinazione del cariotipo fetale (amniocentesi tradizionale):
- Età materna ≥ 35 anni
- Alterazioni cromosomiche nei genitori
- Storia familiare di aneuploidie
- Pregressa aneuploidia fetale
- Mosaicismo alla villocentesi
- Malformazioni fetali rilevate all’esame ecografico (es. l’aumento dello spessore della translucenza nucale del feto)
- Il risultato positivo al test di screening biochimico (tri-test, duo-test)
- Esame del DNA (amniocentesi molecolare)
- Studio del DNA fetale
- Ricerca di agenti infettivi virali o protozoari
- Determinazione della concentrazione di alfafetoproteina o di altri metaboliti